Questa
mattina, dopo aver accompagnato i bambini a scuola ed asilo, mentre
tornavo a casa in macchina avevo la radio accesa. In particolare
stavo ascoltando il commento alla stampa del giorno e mi è piaciuto
molto l'editoriale scritto oggi sul quotidiano La Stampa da Mario
Calabresi, figlio del commissario Calabresi, ucciso nel 1972 da un
commando del terrorismo di sinistra.
Tratta
della questione degli immigrati, tema oggi più che mai attuale e di
diffile trattazione. Ma le sue parole mi hanno ancora una volta
confermato quanto sia necessario cambiare modo di pensare, cambiare
atteggiamento, rendendolo semplicemente più umano.
Ho
pensato di riportare l'editoriale completo, afifnchè possa essere,
per chi passa di qua, fonte di riflessione.
Un ponte di cui essere orgogliosi
di Mario CalabresiParlare di immigrati ormai è diventato difficilissimo, nessuno ha più pazienza d’ascoltare, i più moderati restano in silenzio, gli altri o invitano a rispedire ogni barca a destinazione o a girare la testa dall’altra parte quando fanno naufragio.
La questione è trattata solo in termini economici: prima ci si preoccupa dei costi di salvataggio e accoglienza, poi della minaccia che rappresentano per la sicurezza o per il nostro già disastrato mercato del lavoro. Inutile cercare di discutere razionalmente, guardare i numeri che mostrano che sono molti di più quelli che si stabiliscono in Germania, in Francia o in Svezia. Noi siamo terra di passaggio non meta finale.
Poi leggi il racconto di quella madre che è riuscita a tenere a galla per un’ora il figlio di otto anni, prima di morire all’arrivo dei soccorsi, e senti che qualcosa non funziona più, dentro e fuori di noi. Guardi la foto qui accanto e scopri che su questa barca verde e rossa alla deriva ci sono 133 bambini, che ieri sera sono stati asciugati, rifocillati e hanno dormito sotto una coperta grazie alla Marina Militare italiana che li ha salvati. Sono siriani, in fuga dalla guerra con i loro genitori.
L’operazione Mare Nostrum ne ha salvati 30 mila da ottobre a oggi. Per molti è una colpa, un ponte che andrebbe ritirato al più presto. Ma forse è anche l’unica mano che tendiamo verso una serie di conflitti che non vogliamo vedere.
Il nostro sport nazionale è ripetere ad alta voce che l’Italia fa schifo, che non c’è niente da difendere, che siamo perduti. E se il nostro riscatto stesse nel riscoprire che siamo capaci di umanità? Mi attirerò una bella dose di critiche, ma ho voglia di dire che sono orgoglioso di appartenere a una nazione che manda i militari a salvare le famiglie e non a sparargli addosso.
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